TRIBUNALE DI SIRACUSA 
                           Sezione Penale 
 
    In sede di appello  ex  art.  322-bis  del  codice  di  procedura
penale; 
    Il  Tribunale  di  Siracusa,   Sezione   Penale,   composto   dai
magistrati: 
        dott.ssa Giuseppina Storaci, Presidente; 
        dott.ssa Venera Condorelli, Giudice estensore; 
        dott. Mario Santoro, Giudice on.; 
    Esaminato l'atto  di  appello  proposto  dal  pubblico  ministero
presso il Tribunale di Siracusa  avverso  l'ordinanza  emessa  il  27
febbraio 2015 con cui il Tribunale di Siracusa ha disposto la revoca,
limitatamente  a  Ferraro  Alessandro,  del  decreto   di   sequestro
preventivo emesso dal GIP presso il Tribunale di Siracusa in  data  8
marzo 2012, nonche' del decreto di sequestro  preventivo  emesso  dal
GIP presso il Tribunale  di  Siracusa  in  data  4  giugno  2012  nei
confronti di Bona Sebastiana e Amara Pietro; 
    Letti gli atti del procedimento penale iscritto ai numeri 27/2016
T.L. Seq. e 10158/2010 R.G.N.R. a carico di: 
        Caruso Angelo, nato a Pachino (SR) il 14 novembre 1946; 
        Ferraro Alessandro, nato a Napoli il 10 aprile 1971; 
        Bona Sebastiana, nata ad Augusta 22 agosto 1970; 
        Amara Piero, nato ad Augusta il 24 aprile 1969; 
    Imputati: 
Bona Sebastiana e Amara Piero. 
    1) Per il delitto previsto dagli articoli 110  codice  penale,  2
del decreto legislativo 74/00 perche' -  in  concorso  tra  di  loro,
nella qualita' di amministratore di diritto (Bona) e di fatto (Amara)
della GI.DA S.r.l. ed al fine di evadere le imposte sui redditi e sul
valore aggiunto - indicavano nel  modello  unico  2007  della  stessa
GI.DA  S.r.l.  elementi  passivi  fittizi  utilizzando  fatture   per
operazioni inesistenti provenienti dalla Comin S.r.l. e dalla  Pegaso
S.r.l. (per un imponibile complessivo di  euro  400.000  con  imposta
evasa pari euro 212.000 oltre sanzioni. 
    Nello specifico, utilizzavano le fatture: 
        numeri 21 del 5 aprile 2007 (imponibile 40.000 oltre IVA), 29
del 3 maggio 2007 (imponibile 40.000 oltre IVA),  33  del  1°  giugno
2007 (imponibile 40.000 oltre IVA), 41 del 2 luglio 2007  (imponibile
oltre IVA), 48 del 6 agosto 2007 (imponibile 40.000 oltre IVA) emesse
dalla Pegaso S.r.l.; 
        numeri 13 del 17 aprile 2007 (imponibile 40.000  oltre  IVA),
19 del 30 maggio 2007 (imponibile 40.000 oltre IVA), 28 del 28 giugno
2007 (imponibile oltre IVA), 35 del 27 luglio 2007 (imponibile 40.000
oltre IVA), 40 del 27 agosto  2007  (imponibile  40.000  oltre  IVA),
emesse dalla Comin S.r.l.; 
        fatture  aventi  ad  oggetto   acconti   e   saldo   per   la
«progettazione esecutiva e analisi  e  indicazione  in  concreto  dei
costi dl realizzazione  di  n.  2  impianti  fotovoltaici  denominati
GI.DA1 e GI.DA2» tutte emesse e saldate nel  2007  a  fronte  di  una
progettazione che veniva in realta' depositata parzialmente  soltanto
alla fine del 2008 e da soggetto diverso dalla Comin S.r.l.  e  dalla
Pegaso S.r.l. (ing. Navanteri Marcello)  al  quale  veniva,  peraltro
corrisposta dalla GI.DA. S.r.l. (e  per  l'intera  progettazione)  la
complessiva somma di euro 30.720 tra il maggio ed il luglio del 2009. 
    In Siracusa, nella dichiarazione dei redditi 2007 (presentata  il
29 settembre 2008). 
Ferraro Alessandro e Caruso Angelo. 
    2) Per il delitto previsto dagli articoli 81, 110 c.p.  e  8  del
decreto legislativo 74/00 perche' - con piu' azioni esecutiva  di  un
medesimo disegno criminoso, in concorso tra di loro nella qualita': 
        Ferraro Alessandro di amministratore  di  fatto  della  Comin
S.r.l. e della Pegaso S.r.l.; 
        Caruso Angelo  di  amministratore  di  diritto,  della  Comin
S.r.l. e della Pegaso S.r.l.; 
    ed al fine di consentire l'evasione  delle  imposte  sui  redditi
(IRES e IRAP) e sul valore aggiunto. (IVA) alla GI.DA - emettevano  e
rilasciavano le fatture per operazioni inesistenti descritte nel capo
di imputazione. che  precede  (per  imponibile  complessivo  di  euro
400.000). 
    Con la recidiva reiterata, specifica per Caruso. 
    Con  la  recidiva  reiterata  specifica   infraquinquennale   per
Ferraro. 
    In Siracusa, dal 17 aprile 2007 (data della prima fattura  emessa
in favore della GI.DA S.r.l.) al 27  agosto  2007  (data  dell'ultima
fattura emessa in favore GI.DA S.r.l.). 
    3) Per il delitto previsto dagli articoli 110 codice penale  e  4
del decreto legislativo 74/00 perche' - in concorso tra di loro nella
qualita' di amministratore di fatto (Ferraro Alessandro) e di diritto
(Caruso Angelo) della Comin S.r.l. al fine di evadere le imposte  sui
redditi e sul valore aggiunto - indicavano  nella  dichiarazione  dei
redditi riferita all'anno  2007  elementi  attivi  per  un  ammontare
inferiore a quello effettivo e segnatamente omettevano di  dichiarare
ricavi per complessivi euro 1.478.091,39 (con IVA evasa pari ad  euro
281.195,20) realizzando un'evasione d'imposta  sul  reddito  di  euro
342.067,16. 
    In Siracusa, nel settembre del 2008. 
    4) Per il delitto previsto dagli articoli 81, 110 codice penale e
5 del decreto legislativo 74/00 perche' - con piu'  azioni  esecutive
di un medesimo disegno criminoso,  in  concorso  tra  di  loro  nella
qualita' di amministratore di fatto (Ferraro Alessandro) e di diritto
(Caruso Angelo) della Comin S.r.l., al fine di evadere le imposte sui
redditi e sul valore aggiunto - omettevano di presentare: 
        qualunque  dichiarazione  per  l'anno  2008   nonostante   la
realizzazione di ricavi per complessivi  euro  2.990.018,56  (Imposta
evasa con aliquota IRES al 27,30 ed al netto dei costi accertati euro
699.599,36; IVA evasa al netto delle operazioni passive pari ad  euro
597.161,29); 
        qualunque  dichiarazione  per  l'anno  2009   nonostante   la
realizzazione di ricavi  per  complessivi  euro  441.665,82  (Imposta
evasa con aliquota IRES al 27,50 ed al netto dei costi accertati euro
121.458,10; IVA evasa al netto delle operazioni passive pari ad  euro
88.333,16). 
    In Siracusa, nel settembre 2009 e 2010. 
    Sciogliendo la riserva assunta all'udienza del 13  ottobre  2016,
ha emesso la seguente ordinanza (ex art. 23, legge 11 marzo 1953,  n.
87). 
    1. Bona Sebastiana e Amara Pietro, nelle rispettive  qualita'  di
amministratore di diritto e di fatto della GI.DA S.r.l. sono chiamati
a rispondere davanti al Tribunale di Siracusa del delitto di cui agli
articoli 110 del codice penale, 2 del decreto legislativo n. 74/2000,
come descritto al capo 1  della  rubrica;  nell'ambito  dello  stesso
procedimento Ferraro Alessandro  e  Caruso  Angelo  sono  chiamati  a
rispondere, nelle rispettive qualita' di amministratore di fatto e di
diritto della Comin S.r.l. e della Pegaso S.r.l., del delitto di  cui
agli articoli 81, 110 del codice penale e 8 del  decreto  legislativo
74/2000 (capo n. 2 della rubrica); del delitto di cui  agli  articoli
110 del codice penale, 4 del decreto legislativo n. 74/2000 (capo  n.
3 della rubrica); del delitto di  cui  agli  articoli  8.1,  110  del
codice penale, 5 del decreto legislativo n. 74/2000 (capo n. 4  della
rubrica). 
    Con provvedimento del 27  febbraio  2015  il  Giudice  procedente
disponeva la revoca (limitatamente a Ferraro Alessandro) del  decreto
di sequestro preventivo (anche per equivalente) disposto dal  giudice
per le indagini preliminari presso il Tribunale di Siracusa in data 8
marzo 2012, avente ad oggetto la somma di euro 2.129.814,26,  nonche'
del decreto di sequestro preventivo (anche  per  equivalente)  emesso
dal giudice per  le  indagini  preliminari  presso  il  Tribunale  di
Siracusa il 4 giugno 2016 nei confronti di Bona  Sebastiana  e  Amara
Pietro, avente ad oggetto la somma di euro 240.000  (poi  ridotta  ad
euro 106.000). 
    Detto provvedimento  si  fonda  sugli  esiti  di  una  consulenza
tecnica disposta dal pubblico ministero in data 14 novembre 2014,  ai
sensi degli articoli 359 e 430 del codice di procedura penale. 
    Con atto di  appello  proposto  il  10  marzo  2015  il  pubblico
ministero impugnava la predetta  ordinanza  chiedendo  il  ripristino
della misura cautelare del  sequestro  preventivo  gia'  disposta  in
forza dei decreti del giudice per le indagini preliminari  presso  il
Tribunale di Siracusa dell' 8 marzo 2012 e del 4 giugno 2012. 
    Il difensore di Ferraro Alessandro insisteva  nella  declaratoria
di inammissibilita' dell'appello. 
    Con  ordinanza  del  28  aprile  2015  il  Tribunale   dichiarava
inammissibile l'appello, ritenendolo tardivo. 
    Il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale  di  Siracusa
proponeva ricorso per Cassazione  avverso  la  citata  ordinanza;  la
Suprema  Corte,   in   accoglimento   del   ricorso,   annullava   il
provvedimento,  con  rinvio  al  Tribunale  di   Siracusa   affinche'
esaminasse il merito il ricorso. 
    All'udienza del 26 maggio 2016, il  pubblico  ministero  rilevava
l'avvenuta maturazione del termine di prescrizione con riferimento ai
reati di cui ai capi n. 1 della rubrica limitatamente alle violazioni
concernenti  l'IRAP   e   l'IRES;   relativamente   alle   violazioni
concernenti l'IVA, chiedeva al collegio di disapplicare gli  articoli
160 ultimo comma e 161, ultimo comma del codice penale nella parte in
cui  prevedono  che  il  verificarsi  di  atti   interruttivi   della
prescrizione non possa comportare l'aumento di piu' di un  terzo  del
tempo necessario a prescrivere, per contrasto con  agli  articoli  4,
par. 3 T.U.E. e 325 par. 1 e 2 T.F.U.E. (cfr. sent. C - 105/14  della
CGUE, ric. Taricco dell'8 settembre 2015); in subordine,  qualora  il
collegio ritenesse di non poter procedere  alla  disapplicazione  per
contrasto della disciplina eurounitaria con i  principi  fondamentali
dell'ordinamento costituzionale, chiedevo di sollevare  questione  di
legittimita' costituzionale dell'art. 2, legge n. 130/2008 (questione
gia' sollevata  nel  procedimento  di  merito,  pendente  innanzi  al
Tribunale di Siracusa, in composizione monocratica). 
    Il  pubblico  ministero  chiedeva  altresi'  la  correzione   del
capitolo 3 della  rubrica  laddove,  diversamente  dal  capo  2,  non
risultava contestata  la  recidiva  agli  imputi  Ferraro  e  Caruso,
ritenendo tale omissione frutto di  errore  materiale;  in  subordine
procedeva a formale contestazione della recidiva. 
    Il Tribunale riteneva priva di  effetti  la  contestazione  della
recidiva operata per la prima volta in  sede  di  appello  cautelare,
dopo lo spirare del termine di prescrizione del reato contestato, non
ritenendo che  l'omessa  indicazione  dell'aggravante  in  seno  alla
richiesta di rinvio a  giudizio  possa  configurare  un  mero  errore
materiale,   suscettibile   di   correzione,   anche   laddove   tale
contestazione sia stata effettuata  con  riferimento  ad  altri  capi
d'imputazione riferibili agli stessi imputati e disponeva  un  rinvio
del procedimento. 
    All'udienza del 13 ottobre 2016 il pubblico  ministero  insisteva
nei motivi d'appello, la difesa dell'imputato Amara  ne  chiedeva  il
rigetto, come da verbale. 
    2. Tanto premesso in ordine allo svolgimento  del  processo,  con
riguardo alle violazioni tributarie contemplate dagli articoli 2,  4,
5 e 8 del decreto legislativo 74/2000 oggetto  di  contestazione,  va
ricordato che il termine di prescrizione e' quello ordinario  di  sei
anni previsto dall'art. 157 codice  penale;  termine  che,  anche  in
presenza di atti interruttivi (ex art. 160 codice penale e 17,  comma
l, decreto legislativo 74/2000), non puo'  mai  superare  il  periodo
complessivamente individuato dall'art. 161, comma  2  codice  penale,
non trovando applicazione,  ratione  temporis,  il  disposto  di  cui
all'art. 17, comma 1-bis decreto legislativo 74/2000, introdotto  dal
decreto-legge 138/2011, convertito con modificazioni nella  legge  14
settembre 2011, n. 148. 
    Cio' detto, con riferimento alle ipotesi di reato sopra riportate
ai numeri 1) e 3) del capo di imputazione,  rispettivamente  relative
alla violazione dell'art. 2 del decreto legislativo 74/2000 da  parte
di Amara e Bona e dell'art. 4  del  decreto  legislativo  74/2000  da
patte di Causo  e  Ferraro,  facendo  applicazione  della  disciplina
codicistica, la prescrizione  sarebbe  maturata  il  29  marzo  2016:
entrambe le violazioni tributarie, infatti, sono state commesse il 29
settembre del 2008 (data della presentazione della dichiarazione  dei
redditi relativa all'anno 2007), sicche' il  termine  complessivo  di
prescrizione,  tenuto  conto  dell'aumento  di  un  quarto   previsto
dall'art. 161, comma 2, codice penale,  risulterebbe  scaduto  il  29
marzo 2016, in carenza di periodi di sospensione ex art.  159  codice
penale. 
    3.  Sulla  disciplina  della  prescrizione  dei  reati  tributati
riguardanti le frodi all'imposta sul valore aggiunto e'  recentemente
intervenuta la Corte di Giustizia, con  sentenza  emessa  in  data  8
settembre 2015 (Grande Sezione), Taricco, causa C-105/14. 
    La Corte di Giustizia chiamata a pronunciarsi a seguito di rinvio
pregiudiziale  proposto  ai  sensi   dell'art.   267   Trattato   sul
funzionamento  dell'Unione  europea  dal  Tribunale  di  Cuneo  sulla
compatibilita' con il diritto  dell'Unione  europea  della  normativa
italiana in materia di prescrizione del reato, previa  individuazione
del quadro normativo di riferimento, ha stabilito che: «Una normativa
nazionale in materia di prescrizione del reato come quella  stabilita
dal combinato  disposto  dell'art.  160,  ultimo  comma,  del  codice
penale, come modificato dalla  legge  5  dicembre  2005,  n.  251,  e
dell'art. 161 di tale codice - normativa che prevedeva, all'epoca dei
fatti di cui al  procedimento  principale,  che  l'alto  interruttivo
verificatosi nell'ambito di  procedimenti  penali  riguardanti  frodi
gravi in materia  di  imposta  sul  valore  aggiunto  comportasse  il
prolungamento del termine di prescrizione di solo un quarto della sua
durata iniziale - e' idonea a pregiudicare gli obblighi imposti  agli
Stati membri dall'articolo 325, paragrafi l e 2, TFUE nell'ipotesi in
cui  detta  normativa  nazionale  impedisca  di  infliggere  sanzioni
effettive e dissuasive in un numero considerevole di  casi  di  frode
grave che ledono gli interessi finanziari dell'Unione europea,  o  in
cui preveda, per i casi di frode che ledono gli interessi  finanziari
dello Stato membro interessato, termini di prescrizione  piu'  lunghi
di quelli previsti per i casi  di  frode  che  ledono  gli  interessi
finanziari dell'Unione europea, circostanze  che  spetta  di  giudice
nazionale verificare. Il giudice nazionale e'  tenuto  a  dare  piena
efficacia all'art. 325, paragrafi l e 2, Trattato  sul  funzionamento
dell'Unione europea disapplicando,  all'occorrenza,  le  disposizioni
nazionali che abbiano per  effetto  di  impedire  allo  Stato  membro
interessato di rispettare gli obblighi impostigli dall'articolo  325,
paragrafi 1 e 2, TFUE»". 
    Giova evidenziare che il contrasto con  il  diritto  eurounitario
non riguarda l'intera disciplina nazionale, della prescrizione bensi'
attiene all'interruzione della  prescrizione  e,  segnatamente,  alla
previsione contemplata negli articoli 160, comma 4 e  161,  comma  2,
codice  penale  secondo'  cui,  in   caso   di   interruzione   della
prescrizione per una delle  cause  menzionate  dall'art.  160  codice
penale, il termine di prescrizione non possa essere prolungato  oltre
un quarto della durata iniziale, sull'assunto  che  detta  disciplina
rischi  di  «neutralizzare  l'effetto  temporale  di  una  causa   di
interruzione della prescrizione» e, di conseguenza,  di  non  rendere
effettivi e dissuasivi gli strumenti di  lotta  contro  le  frodi  in
materia di  IVA  che  ledono  gli  interessi  finanziari  dell'Unione
europea: 
    I giudici di Lussemburgo individuano due  diverse  situazioni  di
contrasto  della   disciplina   nazionale   sull'interruzione   della
prescrizione   con   il    diritto    dell'Unione,    corrispondenti,
rispettivamente  alla  violazione  degli  obblighi  imposti  dai  due
paragrafi dell'art. 325 del TFUE. 
    Il primo contrasto  deriva  dall'accertamento  che  la  normativa
nazionale «impedisca di infliggere sanzioni effettive e dissuasive in
un numero considerevole  di  casi  di  frode  grave  che  ledono  gli
interessi finanziari  dell'Unione  europea»  la  violazione  riguarda
l'art. 325, paragrafo 1 del TFUE, secondo cui: L'Unione e  gli  Stati
membri combattono contro la frode e le altre attivita'  illegali  che
ledono gli interessi finanziari dell'Unione  stessa  mediante  misure
adottate a norma del presente articolo, che siano dissuasive  e  tali
da permettere una protezione efficace  negli  Stati  membri  e  nelle
istituzioni, organi e organismi dell'Unione» Al giudice nazionale  e'
dunque rimesso l'accertamento in ordine alla «gravita'»  della  frode
in materia di IVA ed alla frequenza dei  casi  in  cui,  per  effetto
della disciplina nazionale in tema di prescrizione, dette frodi gravi
restino sostanzialmente impunite. 
    La seconda  situazione  di  contrasto  si  verifica  allorche'  i
termini di prescrizione nei reati che ledono gli interessi finanziari
dello Stato membro siano «piu' lunghi di quelli previsti per  i  casi
di frode che ledono gli interessi finanziari dell'Unione europea»: in
tal caso la violazione riguarda l'art. 325, paragrafo 2 del TFUE ,  a
mente del quale «Gli Stati membri adottano, per combattere contro  la
frode che lede gli interessi finanziari dell'Unione, le stesse misure
che adottano per combattere contro la frode che lede i loro interessi
finanziari». L'ipotesi di contrasto riguarda la  constatazione  fatta
propria dalla Corte di  Giustizia  (paragrafo  48),  secondo  cui  la
regola generale dell'aumento di un  quarto  prevista  dall'art.  161,
comma 2, codice penale trova una sua deroga normativa espressa per  i
reati di cui all'art. 51, commi 3-bis e 3-quater codice di  procedura
penale,  per  i  quali  l'aumento  della  prescrizione  per   effetto
dell'atto interruttivo  non  ha  un  limite  diverso  dalla  scadenza
dell'ordinario  termine  di  prescrizione,  che  quindi  riprende   a
decorrere per intero dopo ogni atto  di  interruzione.  Tra  i  reati
indicati nell'art. 51, comma 3-bis  codice  di  procedura  penale  e'
compreso il delitto previsto dall'art.  291-quater  del  decreto  del
Presidente della Repubblica n. 43/1973,  che  punisce  l'associazione
per delinquere  finalizzata  al  contrabbando  di  tabacchi  lavorati
esteri,  sicche'  la  prescrizione  di  quest'ultimo  reato,  non  e'
soggetta all'aumento massimo previsto dall'art. 161 codice penale per
l'ipotesi di atto interruttivo della prescrizione. Consegue  che,  ad
esempio, per il reato di associazione per delinquere finalizzata alla
commissione di reati in  tema  di  IVA  il  termine  di  prescrizione
risulterebbe essere piu' breve rispetto a quello  previsto  dall'art.
291-quater  citato,  che  tutela  solo   gli   interessi   finanziari
nazionali. 
    In entrambe le ipotesi di contrasto sopra delineate la  Corte  di
Giustizia impone al giudice nazionale di disapplicare  la  disciplina
nazionale di cui agli articoli 160 e 161 codice penale,  al  fine  di
dare piena efficacia ed attuazione  all'art.  325  del  Trattato  sul
funzionamento dell'Unione europea. 
    Occorre precisare - come evidenziato da Cass. pen. n. 2210/2016 -
che la Corte di Giustizia non pretende tout court la  disapplicazione
dei termini previsti dall'art. 157, codice penale;  a  dovere  essere
disapplicata e' soltanto  l'ultima  proposizione  dell'ultimo  comma,
successiva al punto e virgola, ove si dispone che «in nessun  caso  i
termini stabiliti nell'art. 157 possano essere  prolungati  oltre  il
termine di cui all'art. 161, comma 2, fatta eccezione per i reati  di
cui all'art. 51 codice di procedura penale,, commi 3-bis e 3-quater».
Pertanto, come chiarito dalla  Suprema  Corte,  a  seguito  dell'atto
interruttivo,  il  termine  ordinario  di   prescrizione   comincera'
nuovamente a decorrere anche al di fuori dei procedimenti  attribuiti
alla competenza della procura distrettuale, senza che possano operare
i limiti massimi stabiliti dall'art. 161 codice penale 
    4.   Le   conseguenze   derivanti    dalla    sentenza    Taricco
sull'ordinamento interno sono decisive. 
    In  virtu'  dell'adesione  all'ordinamento  comunitario  e  della
conseguente limitazione  della  sovranita'  ex  art.  11  Cost.,  dal
contrasto della normativa interna con il diritto  dell'Unione  -  per
come interpretato dalla Corte di Giustizia - deriva  la  diretta  non
applicabilita' da parte del giudice  nazionale  della  norma  interna
anteriore o successiva con essa confliggente, in  base  al  principio
del primato del diritto comunitario (Corte Cost., sentenze 170 /1984,
284/2007, 125/2009, 227 e 228/2010, 75/2012). 
    La  stessa  Corte  di  Giustizia  nel  caso  Taricco  e'   chiara
nell'affermare che  «Qualora  il  giudice  nazionale  giungesse  alla
conclusione  che  le  disposizioni  nazionali  di  cui  trattasi  non
soddisfano gli obblighi del diritto dell'Unione relativi al carattere
effettivo e dissuasivo delle misure di lotta contro le frodi all'IVA,
detto giudice sarebbe tenuto  a  garantire  la  piena  efficacia  del
diritto dell'Unione disapplicando, all'occorrenza, tali  disposizioni
e neutralizzando quindi la conseguenza rilevata  al  punto  46  della
presente sentenza, senza che debba chiedere  o  attendere  la  previa
rimozione  di  dette  disposizioni  in  via  legislativa  o  mediante
qualsiasi  altro  procedimento  costituzionale  (v.,  in  tal  senso,
sentenze  Berlusconi   e   a.,   C-387/02,   C-391/02   e   C-403/02,
EU:C:2005:270,  punto  72  e  giurisprudenza  ivi   citata,   nonche'
Kücükdeveci, C-555/07, EU:C:2010:21, punto 51  e  giurisprudenza  ivi
citata)» (paragrafo 49). 
    Il  principio  del  primato  del  diritto  europeo  sul   diritto
nazionale  trova  l'unico  limite  nella  difesa  dei  «controlimiti»
desumibili  dai  principi  fondamentali   del   nostro,   ordinamento
costituzionale o dai diritti inalienabili della  persona  umana  (cfr
Corte Cost, sentenze 98 del 1965, 183  del  1973.;  da  ultimo  anche
sentenze 348 e 349 del 2007). 
    L'obbligo del giudice  nazionale  di  disapplicare  la  normativa
nazionale  interna  in  favore  del  diritto  dell'Unione,   infatti,
incontra un ostacolo nell'ipotesi in cui il diritto  eurounitario  si
ponga in  contrasto  con  quei  principi  caratterizzanti  il  nostro
sistema costituzionale che  non  possono  essere  modificati  neppure
attraverso il procedimento  aggravato  di  revisione  costituzionale,
dovendo in tal caso il giudice, nell'impossibilita' di  risolvere  il
contrasto in via interpretativa, sollevare questione di  legittimita'
costituzionale. 
    A seguito dell'emanazione della sentenza,  Taricco  la  Corte  di
cassazione ha aderito all'impostazione dei  giudici  europei,  in  un
primo  caso  disapplicando  la  normativa  nazionale   in   tema   di
prescrizione (Cass. pen., sez. III 17 settembre 2015, 20 gennaio 2016
n. 2210) e, in  un  altro  caso,  non  ravvisando  i  presupposti  di
operativita' del potere di disapplicazione (Cass. pen., sez.  IV,  25
gennaio 2016 - 26 febbraio 2016 n. 7914). 
    E' noto,  tuttavia,  che,  a  fronte  dei  citati  precedenti  di
legittimita', la Corte di Appello di Milano  abbia  attivato  i  c.d.
«controlimiti», sollevando, questione di legittimita'  costituzionale
per contrasto' con l'art. 25, comma 2 Cost. (ord. 18 settembre  2013)
e che la stessa terza sezione penale della Suprema Corte, in data  30
marzo 2016,  abbia  sollevato  questione  di  costituzionalita',  per
contrasto con gli articoli 3, 25, comma 2, 27 comma 3, 101, comma, 27
Cost. (e si e', in attesa del deposito della motivazione). 
    5. Ritiene il collegio che sia  rilevante  e  non  manifestamente
infondata la questione di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  2
della legge 2 agosto 2008, n. 130, con cui viene data  esecuzione  al
Trattato  sul  funzionamento  dell'Unione  europea,  come  modificato
dall'art. 2 del Trattato di Lisbona  del  13  dicembre  2007  (TFUE),
nella parte in  cui  impone  di  applicare  la  disposizione  di  cui
all'art. 325, paragrafi 1 e 2, Trattato sul funzionamento dell'Unione
europea dalla quale - secondo l'interpretazione fornita  dalla  Corte
di Giustizia nella sentenza 8 settembre 2015, causa C-105/14, Taricco
- discende l'obbligo per il giudice  nazionale  di  disapplicare  gli
articoli 160,  ultimo  comma  e  161,  comma  2  codice  penale,  per
contrasto  con  i  principi  fondamentali  dell'ordinamento   sanciti
nell'art. 25, comma 2, in relazione agli  articoli  24  e  111  della
Costituzione. 
    6. La questione di legittimita' costituzionale e' rilevante. 
    6.1 Nel presente processo  viene  contestata  agli  imputati  una
frode tributaria relativa,  tra  le  altre,  all'imposta  sul  valore
aggiunto, realizzata mediante l'utilizzo e l'emissione di fatture per
operazioni inesistenti. 
    La prospettazione accusatoria prevede la sussistenza di una frode
IVA  posta  in  essere  dagli  imputati   mediante   la   fraudolenta
dichiarazione di elementi passivi  fittizi  utilizzando  fatture  per
operazioni inesistenti nell'anno di imposta 2007 per la GI.DA  S.r.l.
(capo n. 1), nonche', per converso, l'emissione da  parte  di  Pegaso
S.r.l. e di Comin S.r.l. di fatture per  operazioni  inesistenti,  al
fine di consentire alla GI.DA S.r.l. di evadere le imposte  (capo  n.
2); inoltre, agli imputati Ferrara e Caruso viene contestata l'omessa
indicazione nella dichiarazione dei redditi 2007 di ricavi  inferiori
a quelli effettivi, con un IVA evasa per euro 281.195,20 (capo n.  3)
e, infine, l'omessa presentazione di qualunque dichiarazione per  gli
anni 2008 e 2009 (capo n. 4). 
    Osserva il giudice che, nel caso di specie, si sia in presenza di
una frode IVA a cui risultino applicabili i principi delineati  nella
sentenza Taricco. 
    Esclusa la violazione dell'art.  325,  paragrafo  2  -  la  quale
riguarda, come detto, l'ipotesi in cui sia contestata  l'associazione
finalizzata alla commissione di reati in tema di IVA -  nel  caso  in
esame ricorre la prima delle due situazioni di contrasto  individuate
dalla Corte di Giustizia, concernente le frodi «gravi» in materia  di
IVA. 
    Fermo restando quanto  a  breve  si  dira'  in  ordine  alla  non
manifesta infondatezza, si ritiene, contrariamente a quanto sostenuto
dalla difesa degli imputati, che la frode in questione  debba  essere
considerata grave,  secondo  i  principi  affermati  dalla  Corte  di
Giustizia. 
    Ed invero, pur avendo la'  Grande  Camera  demandato  al  giudice
nazionale il compito di disapplicare la disciplina sulla interruzione
della prescrizione  nel  caso  in  cui  l'applicazione  della  stessa
comporti «in un numero considerevole di casi,  l'impunita'  penale  a
fronte di fatti costitutivi di una frode grave», e' la medesima Corte
che, nell'individuazione del quadro  normativo,  richiama  l'art.  2,
par.  1  della  convenzione  relativa  alla  tutela  degli  interessi
finanziari delle Comunita' europee (Convenzione PIF)  attinente  alle
frodi  gravi,  secondo  cui  ogni  Stato  membro  prende  le   misure
necessarie affinche' le condotte di cui  all'articolo  1  nonche'  la
complicita', l'istigazione o  il  tentativo  relativi  alle  condotte
descritte all'articolo 1, paragrafo 1, siano  passibili  di  sanzioni
penali effettive, proporzionate e dissuasive che comprendano, almeno,
nei casi di frode grave, pene privative della  liberta'  che  possono
comportare  l'estradizione,  rimanendo   inteso   che   deve   essere
considerata frode grave qualsiasi frode riguardante un importo minimo
da determinare in ciascuno Stato membro. Tale importo minimo non puo'
essere superiore a [EUR] 50 000 (...). 
    La disciplina convenzionale consente di ritenere grave una  frode
che superi l'importo di cinquantamila  euro  (stabilito  quale  tetto
della soglia minima di gravita'). Essa, sebbene  rivolta  ai  singoli
Stati membri, e' richiamata nella sentenza  Taricco  nell'ambito  del
quadro normativo di riferimento e, su questa base normativa, la Corte
sviluppa il proprio ragionamento argomentativo. In tal Modo, siffatto
richiamo costituisce parametro per  orientare  il  giudice  nazionale
nella individuazione della soglia di gravita'. 
    Non pare, pertanto, a questo giudice che la gravita' della  frode
possa necessariamente coincidere con la contestazione  del  danno  di
rilevante gravita' - come affermato da Cass. pen.  n.  7914/2016  nel
caso sottoposto al suo esame  -  sia  per  quanto  appena  detto  sia
perche',  gia'  sul  piano  letterale,  le  circostanze  che  possono
giustificare la sussistenza dell'aggravante di cui all'art. 61, n.  7
codice  penale  presuppongono  la  «rilevante»  gravita'  del   danno
patrimoniale arrecato e, dunque, un quid pluris  rispetto  alla  mera
gravita' della frode. 
    Sotto altro profilo non convince la  tesi  sostenuta  con  vigore
dagli imputati secondo cui il parametro della  gravita'  della  frode
debba   essere   valutato   sulla   base    dell'aliquota    uniforme
dell'imponibile IVA che ciascuno Stato membro e' tenuto a versare  al
bilancio dell'Unione europea a base alla  decisione  2007/436/CE.  E'
pacifico infatti, sia nella giurisprudenza di legittimita' sia  nella
sentenza  Taricco,  che  il  requisito  della  gravita'  della  frode
riguardi  l'importo  dell'IVA   evasa   nel   territorio   nazionale,
costituendo la lesione  degli  interessi  finanziari  dell'Unione  un
effetto riflesso derivante  dall'iscrizione  a  bilancio  dell'Unione
dell'imposta  in  esame:  Del  resto  dalla  Convenzione  PIF   sopra
menzionata emerge che il requisito della gravita' della  frode  debba
essere valutato  alla  stregua  dell'imposta  complessivamente  evasa
all'interno dello Stato membro (cfr: art. 2 convenzione),  posto  che
sono gli Stati membri a dovere adottare tutte le misure necessarie  a
rendere effettive e dissuasive le sanzioni adottate contro  le  frodi
verificatesi al loro interno. 
    6.2 Operate le superiori premesse, deve ritenersi  che  la  frode
asseritamente  posta  in  essere  dagli  odierni  imputati  abbia   i
connotati della gravita', atteso  che  l'ammontare  dell'imposta  sul
valore aggiunto evasa e' sempre superiore al limite di 50.000 euro. 
    In relazione alla violazione degli articoli 2 e 4, di cui ai capi
numeri  1)  e  2)  di  imputazione,  infatti,  l'ammontare   dell'IVA
asseritamente evasa risulta pari ad 80.000 euro  (venti  percento  di
400.000 euro); in relazione al reato di cui all'art. 4  contestato  a
Caruso e Ferraro (capo n. 3), invece, l'imposta sul  valore  aggiunto
evasa risulta pari ad euro 281.195,20, mentre, con riguardo al  reato
di cui all'art. 5 (capo n. 4), l'IVA evasa, al netto delle operazioni
passive, risulta pari ad euro 597.161,29  per  l'anno  2009  ed  euro
88.333,16 per il 2010. 
    Chiarita l'applicabilita' dei principi enunciati  nella  sentenza
Taricco  al  caso  in  esame,  la  rilevanza   della   questione   di
legittimita' costituzionale e' comprovata dalla circostanza  per  cui
la  disapplicazione  della  disciplina   codicistica   in   tema   di
interruzione  della  prescrizione,  per  come  imposto  dai   giudici
europei, impedisce di dichiarare la prescrizione dei reati di cui  ai
capi numeri 1) e 3) di imputazione, per i quali, come detto, in  base
agli articoli 160, ultimo comma e 161, secondo comma  codice  penale,
il 29 marzo 2016 sarebbe maturato il relativo termine. 
    Facendo applicazione dell'art. 325, paragrafo 1 del Trattato  sul
funzionamento dell'Unione europea, per come interpretato dalla  Corte
di Giustizia nel caso Taricco, il termine di prescrizione non sarebbe
ancora maturato  limitatamente  all'evasione  dell'IVA,  atteso  che,
disapplicando l'art. 160, ultimo comma codice penale nella  parte  in
cui prevede che «in nessun caso i  termini  stabiliti  nell'art.  157
possono essere prolungati oltre termine di cui all'art 161, comma  2,
fatta eccezione per i reati di cui all'art. 51  codice  di  procedura
penale, commi 3-bis e 3-quater», il termine ordinario di prescrizione
previsto  dall'art.  157  codice   penale   decorrerebbe   nuovamente
dall'ultimo  atto  interruttivo,  coincidente  con  l'emissione   del
decreto che dispone il giudizio (30 maggio 2014), con la  conseguenza
che i reati di, cui ai numeri  1)  e  3)  del  capo  di  imputazione,
limitatamente alla violazione dell'IVA, si  prescriverebbero  decorsi
sei anni dal 30 maggio 2014 e, quindi, il 30 maggio 2020. 
    In sostanza, dall'applicazione o disapplicazione  degli  articoli
160, ultimo comma e 161, secondo comma codice penale  discenderebbero
due conseguenze differenti nel presente  giudizio:  disapplicando  la
normativa  nazionale,  le  frodi  IVA  contestate  agli  imputati  si
prescriverebbero il 30 maggio 2020; applicando, invece, gli  articoli
160 e 161 codice penale, l'appello del  pubblico  ministero  dovrebbe
essere rigettato, non sussistendo il fumus del reato contestato,  nei
confronti di Amara e Bona in relazione al reato di cui al capo n.  1)
di imputazione, nonche' nei confronti  di  Ferraro  in  relazione  al
reato di cui al capo n. 3) di imputazione. 
    In cio'  si  sostanzia  il  nesso,  di  stretta  pregiudizialita'
sussistente tra il presente giudizio  e  quello  davanti  alla  Corte
costituzionale che rende  concreta  ed  attuale  la  rilevanza  della
questione. 
    7.  La  questione   di   legittimita'   costituzionale   non   e'
manifestamente infondata. 
    Ritiene il collegio che l'applicazione  dei  principi  richiamati
nella sentenza Taricco si ponga in  contrasto  con  il  principio  di
legalita' in materia penale  (art.  25,  comma  2  Cost.),  anche  in
relazione agli articoli 111 e 24 Cost., quale  principi  fondamentali
dell'ordine costituzionale. 
    7.1 La violazione del principio di legalita' di cui all'art.  25,
comma 2, Cost. investe in  primo  luogo  l'effetto  in  malam  partem
derivante dalla disapplicazione della disciplina della, prescrizione. 
    E' noto che la Corte di Giustizia, nell'enunciare  il  dovere  di
disapplicazione da parte del giudice nazionale, non  abbia  ravvisato
alcun contrasto con l'art. 49 della Carta  dei  diritti  fondamentali
dell'Unione  europea,  che  sancisce  il  principio  di  legalita'  e
proporzionalita' dei reati  e  delle  pene,  e  con  l'art.  7  della
Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti e delle  liberta'
fondamentali. Secondo i giudici europei  la  disapplicazione  avrebbe
l'effetto di non  abbreviare  il  termine  di  prescrizione  generale
nell'ambito di un  procedimento  penale  pendente  di  consentire  un
effettivo perseguimento dei fatti incriminati ma non comporterebbe la
violazione dell'art. 49, non derivando da  essa  una  condanna  degli
imputati per un fatto che, nel momento in cui e' stato commesso,  non
costituiva reato. 
    La Corte di cassazione, nella sentenza n. 2210/2016, condividendo
l'impostazione della sentenza Taricco, ha escluso la  violazione  dei
controlimiti, affermando che la disciplina degli articoli 160  e  161
codice penale non sia  dotata  di  copertura  costituzionale,  tenuto
conto, altresi della natura dichiarativa (e  non  costitutiva)  delle
sentenze della Corte di Giustizia;  impostazione,  questa  pienamente
condivisa dal pubblico ministero,  che  ha  ampiamente  motivato;  in
ordine  alla  insussistenza  della   violazione   il   principio   di
irretroattivita' della legge penale sfavorevole. 
    Cio' detto ritiene questo collegio - condividendo  argomentazioni
indicate dalla Corte di appello di Milano nell'analoga  ordinanza  di
rimessione -  che  non  possa  prescindersi  dall'affermazione  della
natura sostanziale della disciplina prescrizione. 
    La  Corte   costituzionale,   discostandosi   sul   punto   dalla
giurisprudenza della Corte di Strasburgo (sentenza Coeme c., Belgio e
Scoppola c. Italia) e dalla Corte  di  Giustizia  (sentenza  Niselli,
C-457/02),  ha  da  sempre  affermato  la  natura  sostanziale  della
disciplina della prescrizione e  l'assoggettamento  della  stessa  al
principio del nullum crimen sine lege. 
    Con  la  sentenza  n.  394/2006,  la  Corte   costituzionale   ha
affermato: secondo la consolidata  giurisprudenza  di  questa  Corte,
all'adozione di pronunce in malam partem osta non  gia'  una  ragione
meramente processuale - di irrilevanza,  nel  senso  che  l'eventuale
decisione di accoglimento non potrebbe trovare comunque  applicazione
nel giudizio a quo - ma una ragione sostanziale, intimamente connessa
al principio della riserva di legge  sancita  dall'art.  25,  secondo
comma Cost, in base al quale «nessuno puo' essere punito  se  non  in
forza di una  legge  che  sia  entrata  in  vigore  prima  del  fatto
commesso» (ex plurimis, tra le ultime, sentenze n 161 del 2004  e  n.
49 del 2002, n. 508 del 2000; ordinanze n. 187 del 2005, n.  580  del
2000 e n.  392  del  1998;  con  particolare  riguardo  alla  materia
elettorale, ordinanza n. 132 del 1995): Rimettendo al legislatore - e
segnatamente  al  «soggetto-Parlamento»,  in  quanto  rappresentativo
dell'intera collettivita' nazionale (sentenza n. 487 del 1989)  -  la
riserva sulla scelta dei fatti da sottoporre a pena e delle  sanzioni
loro applicabili, detto principio impedisce alla Corte sia di  creare
nuove fattispecie criminose o di estendere quelle  esistenti  a  casi
non previsti; sia di incidere in peius sulla risposta, punitiva o  su
aspetti comunque inerenti alla  punibilita'  (e  cosi',  ad  esempio,
sulla disciplina della prescrizione e dei relativi atti  interruttivi
o sospensivi: ex plurimis, ordinanze n. 317 del 2000  e  n.  337  del
1999); principio ribadito con la sentenza  n.  324/2008,  secondo  la
quale: «E' pacifico, infatti, che la prescrizione, quale istituto  di
diritto sostanziale, e' soggetta alla disciplina di cui  all'art.  2,
quarto comma, codice penale che  prevede  la  regola  generale  della
retroattivita' della norma piu' favorevole, in quanto "il decorso del
tempo non si limita ad estinguere  l'azione  penale,  ma  elimina  la
punibilita' in se' e per se', nel senso che costituisce una causa  di
rinuncia totale dello Stato alla potesta' punitiva" (sentenza n.  393
del 2006)». 
    La giurisprudenza costituzionale, pertanto,  e'  consolidata  nel
riconoscere  che  la  prescrizione  sia  coperta  dal  principio   di
legalita',  la  quale   incide   non   soltanto   sulla   fattispecie
incriminatrice e sulla pena ma, altresi', sugli aspetti  inerenti  la
punibilita'. 
    Non sembra, contrariamente a quanto affermato  da  Cassazione  n.
2210/2016, che assuma valenza decisiva  la  circostanza  per  cui  la
Corte costituzionale, con la sentenza  n.  236/2011,  abbia  ritenuto
irrilevante,  la  questione  inerente   la   natura   sostanziale   o
processuale  della  prescrizione,  posto  che,  come  da  piu'  parti
evidenziato,  l'ipotesi  sottoposta  all'attenzione  della   consulta
riguardava il diverso principio di retroattivita' della  disposizione
penale piu' favorevole. 
    La natura sostanziale della disciplina della prescrizione, estesa
alle disposizioni contenute negli articoli 160 e 161  codice  penale,
implica l'assoggettamento  dell'intera  disciplina  al  principio  di
legalita' di cui all'art. 25, comma 2 Cost., secondo cui nessuno puo'
essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in  vigore
prima del fatto commesso. 
    Non vi e' dubbio che  il  principio  di  legalita'  sia  uno  dei
principi  fondamentali  dell'ordinamento   costituzionale,   la   cui
violazione impone l'attivazione dei controlimiti la legalita'  intesa
in senso formale segna il passaggio dallo stato assoluto  allo  stato
di diritto moderno e si sostanzia nella necessaria salvaguardia della
liberta' del singolo individuo, certo di non potere essere punito per
fatti  che,  sebbene  antisociali  o  pericolosi,  non  integrino  la
fattispecie di reato al momento  della  loro  commissione.  Il  favor
libertatis  connota  il  principio  di  legalita'  a  cui  tutti  gli
ordinamenti penali moderni si inspirano. 
    Il principio di legalita' risulta violato, altresi', in relazione
agli articoli 24, e 111 della Costituzione. 
    Invero, anche a volere prescindere dalla natura sostanziale della
prescrizione, si osserva che  il  regime  della  prescrizione  a  cui
risultino  assoggettate  le  frodi  gravi  lesive   degli   interessi
finanziari dell'Unione europea sia radicalmente  mutato  per  effetto
dell'interpretazione fornita dalla sentenza Taricco. 
    E'  certo,  infatti,  che  l'obbligo  di  disapplicazione   della
disciplina  sulla  interruzione  della  prescrizione  imposta   dalla
sentenza Taricco abbia modificato  il  termine  di  prescrizione  dei
reati finanziari lesivi degli interessi dell'Unione  e  che  siffatta
modifica sia conseguenza  dell'interpretazione  offerta  dai  giudici
europei. 
    Sotto il profilo intertemporale, pertanto, occorre  chiedersi  se
la  disapplicazione,  della  disciplina   nazionale   possa   trovare
applicazione in relazione ai processi in corso, nei quali il  termine
di  prescrizione  sia,  maturato  dopo  l'emanazione  della  sentenza
Taricco. 
    E' noto che, al riguardo, la Suprema Corte  abbia  affrontato  la
questione della disapplicazione in relazione a quei  fatti  di  reato
per cui la prescrizione  fosse  gia'  maturata,  concludendo  per  la
sussistenza  di  una   sorta   di   diritto   quesito   dell'imputato
all'estinzione del reato per il quale fosse gia' scaduto  il  termine
di prescrizione «per effetto di una forma atipica di ius superveniens
come quella introdotta dalla  Corte  lussemburghese.  In  tale  senso
appare ragionevole sostenere che la  disapplicazione  degli  articoli
160 e 161  codice  penale  per  assicurare  la  tenuta  dei  principi
ispiratori del sistema penale nazionale (a cominciare  dall'art.  25,
comma 2  Cost.)  e  al  tempo  stesso  il  rispetto  dell'ordinamento
dell'Unione europea (art.  117;  comma  1,  Cost.),  debba  valutarsi
rispetto ai fatti non ancora prescritti alla data della pubblicazione
della sentenza Taricco (3 settembre 2015), tra  i  quali  rientra  il
caso in esame» (Cass. pen. n. 7914/2016). 
    Ritiene questo collegio che il principio summenzionato, enunciato
dalla Corte di  cassazione,  debba  estendersi  anche  a  quei  reati
commessi anteriormente alla sentenza della Grande Camera rispetto  ai
quali la prescrizione sia  successivamente  maturata  a  processo  in
corso. 
    Ed infatti,  in  disparte  la  questione  concernente  la  natura
dichiarativa (e  non  costitutiva)  delle  sentenze  della  Corte  di
Giustizia, le quali si limitano ad interpretare una norma comunitaria
gia'  esistente  nell'ordinamento,  e'  indubbio  che  l'obbligo   di
disapplicazione   della   disciplina   sulla    interruzione    della
prescrizione sia conseguenza di  un  interpretazione  sopravvenuta  e
«dirompente» dell'art. 325 TFUE operata  dalla  Corte  di  Giustizia,
innovativa rispetto al quadro giurisprudenziale pacifico  precedente,
secondo  il  quale,  in  siffatta  materia,  la  prescrizione  andava
calcolata secondo la disciplina generale di cui agli articoli  160  e
161 codice penale. 
    L'effetto della pronuncia della Corte,  pertanto,  non  puo'  che
incidere    negativamente    sulle     prerogative     dell'imputato,
costituzionalmente  tutelate,  ad  un  processo  «giusto»  in  quanto
regolato dalla legge (art. 111 Cost.) ed all'esercizio del diritto di
difesa  (art.  24  Cost.).  La  sopravvenuta  modifica   del   regime
prescrizionale   conseguente   alla   sentenza   Taricco,   pertanto,
irrompendo nei giudizi in corso altera il corso della prescrizione ed
incide sulla stessa punibilita' dei reati  con  effetto  retroattivo,
vulnerando la legittima aspettativa dell'imputato,  che  non  intenda
rinunciare  alla  prescrizione,  ad   ottenere   una   pronuncia   di
proscioglimento sulla base della legge regolativa del fatto. 
    Per quanto sopra, l'obbligo discendente  dall'art.  325  Trattato
sul funzionamento dell'Unione europea, per  come  interpretato  dalla
sentenza Taricco, di disapplicare la normativa nazionale in  tema  di
interruzione della prescrizione, in ipotesi  di  frodi  gravi  lesive
degli interessi finanziati dell'Unione europea, si pone in  contrasto
con il principio di legalita' in se' ed in  relazione  agli  articoli
111 e 24 Cost., dal momento che, alla disapplicazione  imposta  dalla
Corte di Giustizia,  conseguirebbe  l'effetto  in  malam  partem  del
prolungamento dei termini di prescrizione del  reato  a  processo  in
corso. 
    Per quanto sopra, si chiede che la  Corte  costituzionale  valuti
l'opponibilita' dei controlimiti all'applicazione dell'att. 325 TFUE,
per comme interpretato dalla Corte di Giustizia. 
    7.2 La disapplicazione della  disciplina  nazionale  in  tema  di
interruzione della prescrizione, ad avviso di  questo  Tribunale,  si
pone  in  contrasto  anche  con  il  principio  di   tassativita'   o
determinatezza della fattispecie incriminatrice, quale corollario del
principio di legalita'. 
    La Corte di Giustizia ha affidato al giudice nazionale il compito
di disapplicare la disciplina sulla interruzione  della  prescrizione
nel caso in cui l'applicazione della stessa comporti  «in  un  numero
considerevole  di  casi,  l'impunita'  penale  a  fronte   di   fatti
costitutivi di una frode grave». 
    La violazione del principio di tassativita' non attiene tanto  al
requisito   della   gravita'   della    frode,    quanto    piuttosto
all'accertamento, demandato al giudice nazionale, che  l'applicazione
degli articoli 160 e 161 codice penale comporti l'impunita' penale in
un numero considerevole di casi. 
    Con riguardo al parametro della gravita',  infatti,  va  rilevato
che si tratta un  elemento  elastico  della  fattispecie  penale  che
consente al giudice un margine di apprezzamento rispondente  comunque
al canone della tassativita'. Del resto, si e'  gia'  detto  che,  in
qualche misura, la Corte di Giustizia, nel richiamare  la  Convezione
PIF, fornisca un parametro quantitativo di riferimento  rappresentato
dal superamento della soglia di 50.000 euro. 
    In siffatto contesto sembra potersi escludere la  violazione  del
principio di  tassativita'  nell'affermazione  della  gravita'  della
frode,  quale  requisito  necessario  per  la  disapplicazione  della
disciplina nazionale in tema di interruzione della prescrizione. 
    Maggiori perplessita', sul piano costituzionale, desta invece  il
richiamo alla locuzione in un numero considerevole di casi. 
    Dalla lettura  della  sentenza  Taricco  emerge  che  il  giudice
nazionale e chiamato ad operare una doppia valutazione: accertato che
la frode abbia superato la soglia della gravita', e'  necessario  che
egli pervenga alla conclusione che l'applicazione delle  disposizioni
nazionali  in  tema  di  interruzione  della  prescrizione   comporti
l'impunita' penale in un numero considerevole di casi (cfr. paragrafo
47 della sentenza). 
    La locuzione in esame, pertanto, lungi dal  costituire  una  mera
formula  di  stile  ovvero  un  elemento  estraneo   all'area   della
offensivita'  del  fatto,  rappresenta  essa  stessa  il   fondamento
dell'accertamento che il giudice nazionale e'  chiamato  ad  operare,
ben potendosi presentare l'ipotesi in cui questi, pur constatando  la
gravita della frode, concluda nel senso che non sussista un  pericolo
di impunita'  perche'  trattasi  di  casi  che  possono  considerarsi
isolati. 
    Il riferimento alla frequenza  dei  casi  in  cui  l'applicazione
della  disciplina   nazionale   della   prescrizione   incida   sulla
effettivita'   e   dissuasivita'   della    risposta    sanzionatoria
costituisce, tuttavia, un elemento incerto  ed  indeterminato,  nella
misura in cui si demanda al giudice nazionale il compito  di  operare
valutazioni di tipo «statistico» estranee al processo e che  prendono
spunto da una personale verifica relativa ad analoghe fattispecie  di
reato sottoposte alla sua cognizione. 
    Al giudice, in sostanza, non viene chiesto di applicare la  legge
e di interpretare il diritto  ma  di  valutare  la  congruita'  e  la
funzionalita'    sistemica    della    disciplina    in     relazione
all'effettivita'  e  dissuasivita'  della   risposta   sanzionatoria:
valutazioni, pertanto, di  politica  sanzionatoria  che  spettano  al
legislatore, secondo l'attuale  assetto  costituzionale  fondato  sul
principio della separazione dei poteri. 
    Appare evidente che un simile accertamento, collida con il nostro
sistema costituzionale di soggezione del  giudice  alla  legge  e  di
stretta legalita' del reato e  della  pena  e,  soprattutto,  con  il
principio di tassativita' della fattispecie penale, che impone, sotto
il   profilo   della   tecnica   di   redazione   della   fattispecie
incriminatrice,  che  la  stessa  presenti  un  adeguato   tasso   di
determinatezza a garanzia della liberta' del cittadino. 
    Il ricorso «statistico» richiesto dai  giudici  eurounitari,  nei
termini sopra richiamati, viola  il  principio  di  conoscibilita'  e
prevedibilita'  delle  sanzioni   penali,   introducendo   incertezza
nell'imputato, il quale non conosce se il reato da lui  commesso  sia
assoggettato ad un regime di prescrizione piuttosto che ad un altro. 
    Alla  luce   delle   superiori   considerazioni,   l'obbligo   di
disapplicazione degli articoli 169 e 161 codece penale, ad avviso  di
questo  collegio,  si  pone  in  conflitto  con   il   principio   di
tassativita'; principio  che,  trovando  fondamento  nell'ordinamento
nell'art.  25,  comma  2  Cost.,  assurge  a  principio  fondamentale
dell'ordinamento costituzionale, la cui violazione  impone  a  questo
giudice di sollevare questione di legittimita' costituzionale per  la
necessaria difesa dei controlimiti  alla  limitazione  di  sovranita'
derivante  dall'adesione  dell'Italia   all'ordinamento   dell'Unione
europea, ai sensi dell'art. 11 Cost. 
    8.   Le   superiori   considerazioni   hanno   trovato   conferma
nell'ordinanza  n.  24/2017,  con  cui  la  Corte  costituzionale  ha
disposto rinvio pregiudiziale alla  Corte  di  Giustizia  dell'Unione
europea, al fine di chiarire l'esatta portata dei principi  affermati
dalla Corte con la sentenza «Taricco». 
    Nel corpo della motivazione la Corte ha ribadito che il principio
di legalita' in materia penale, sancito dall'art. 25, comma 2, Cost.,
esprime un principio supremo dell'ordinamento, posto a  presidio  dei
diritti inviolabili dell'individuo; per la parte in cui esige che  le
norme penali siano determinate e non abbiano in nessun  caso  portata
retroattiva. 
    Conseguentemente  ha   affermato   che   laddove   l'applicazione
dell'art. 325 del  Trattato  sul  funzionamento  dell'Unione  europea
dovesse  comportare  l'ingresso  nell'ordinamento  giuridico  di  una
regola contraria al principio  di  legalita'  in  materia  penale  si
imporrebbe la declaratoria  di  illegittimita'  costituzionale  della
legge nazionale che ha autorizzato la ratifica  e  reso  esecutivi  i
trattati, per la sola parte in cui essa consente che la violazione si
realizzi. 
    Nel  corpo  della  motivazione   la   Corte   ha   ribadito   che
nell'ordinamento  giuridico  nazionale   il   regime   legale   della
prescrizione e' soggetto al principio di legalita' in materia penale,
sancito dall'art. 25, comma 2, Cost. (cfr. Corte Cost.  n.  143/2014)
ed e' percio' necessario che esso sia  analiticamente  descritto,  al
pari del reato e della pena, da  una  norma  che  vige  al  tempo  di
commissione del fatto; alla luce di tale inquadramento dogmatico (che
impone l'applicazione dell'art. 7 CEDU), ha ritenuto che  la  persona
non potesse ragionevolmente pensare, prima  della  sentenza  resa  in
causa Taricco, che l'art. 325 del TFUE prescrivesse al giudice di non
applicare gli articoli 160, ultimo comma, e 161, secondo comma codice
penale ove ne fosse derivata l'impunita' di gravi  frodi  fiscali  in
danno dell'Unione in un  numero  considerevole  di  casi,  ovvero  la
violazione del principio di assimilazione. 
    La Corte ha inoltre chiarito come al giudice non possano spettare
scelte basate su discrezionali valutazioni di politica criminale:  in
particolare, il tempo necessario per la prescrizione di un reato e le
operazioni giuridiche da compiersi per calcolarlo  devono  essere  il
frutto dell'applicazione, da parte  del  giudice  penale,  di  regole
legali sufficientemente determinate; in caso contrario, il  contenuto
di queste regole sarebbe deciso dal Tribunale  caso  per  caso,  cosa
vietata dal principio di separazione dei poteri  di  cui  l'art.  25,
secondo comma, Cost. declina una versione particolarmente  rigida  in
materia penale. 
    Pertanto, ritenuta la rilevanza e non manifesta infondatezza,  va
sollevata questione di legittimita' costituzionale dell'art. 2  della
legge 2 agosto 2008, n. 130 con cui viene data esecuzione al Trattato
sul funzionamento dell'Unione europea, come  modificato  dall'art.  2
del Trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007 (TFUE), nella  parte  in
cui  impone  di  applicare  la  disposizione  di  cui  all'art.  325,
paragrafi 1 e 2, Trattato sul funzionamento dell'Unione europea dalla
quale - secondo l'interpretazione fornita dalla  Corte  di  Giustizia
nella sentenza 8 settembre 2015, causa C-105/14, Taricco  -  discende
l'obbligo per il giudice nazionale di disapplicare gli articoli  160,
ultimo comma e 161, comma 2  codice  penale,  per  contrasto  con  il
principio fondamentale dell'ordinamento sancito) nell'art. 25,  comma
2, della Costituzione, anche in relazione  agli  articoli  24  e  111
Cost. 
    In considerazione delle esigenze di celerita' sottese al presente
procedimento cautelare, il collegio ha disposto la separazione  degli
atti relativamente all'impugnazione del provvedimento di  revoca  del
sequestro emesso in data  8  marzo  2012  nei  confronti  di  Ferraro
Alessandro, in relazione al capo d'imputazione n. 4, per il quale non
e' ancora decorso il termine di prescrizione.